Smart working, remote working, freelancing: quali sono le differenze?

L’epidemia di Covid-19 e le conseguenti restrizioni volte a prevenire la crescita dei contagi hanno modificato nel profondo le nostre abitudini: non solo a livello sociale, ma anche in fatto di organizzazione delle attività lavorative. Non a caso, a partire dai primi mesi del 2020, espressioni come “smart working” e “remote working” sono entrate nel linguaggio comune, anche a causa dell’influenza esercitata dai media.

Nell’ultimo anno, infatti, abbiamo sentito parlare frequentemente dello “smart working”: una tematica affrontata nei contesti più diversi, dai quotidiani ai magazine online, fino ai programmi di approfondimento in TV. Tuttavia, molto spesso, questa espressione è stata utilizzata in maniera imprecisa: intendendo, cioè, il semplice svolgimento delle proprie mansioni per mezzo del computer e lontano dall’ufficio.

Proprio per tali motivi, ancora oggi c’è chi considera lo “smart working” e il “remote working” come due modalità di lavoro identiche e sovrapponibili. Per altro, la confusione e i dubbi aumentano quando, alle espressioni appena menzionate, se ne aggiunge anche una terza, ossia “freelancing”. Queste tre forme di lavoro, infatti, possono essere accomunate dall’utilizzo del PC, delle connessioni rete e di strumenti informatici.

Ma sono davvero uguali, come vorrebbero alcuni, o esistono delle differenze?

Proviamo a fare chiarezza ed a distinguere le caratteristiche di ciascuna modalità.

Cos’è il “remote working”?

“Remote working” – letteralmente: “lavoro a distanza” o “da remoto” – è un’espressione piuttosto ampia, in quanto comprende tutte quelle attività lavorative che si tengono fuori dall’ufficio (o altra sede aziendale). Lavorare da remoto, ad ogni modo, non vuol dire essere completamente autonomi nello svolgimento delle proprie mansioni. Anzi, per tenersi in contatto con responsabili e colleghi, si utilizzano le nuove tecnologie: computer e connessione ad Internet, webcam, ecc..

Una forma peculiare di “remote working” è il cosiddetto “telelavoro”. Chi adotta questa modalità, infatti, è tenuto a rispettare gli orari indicati dall’azienda ed a rimanere in postazione fino al termine del turno, proprio come ogni impiegato.

Il telelavoro, inoltre, è regolato da normative e contratti specifici.

Cos’è lo “smart working”?

Pur condividendo alcuni aspetti, “remote” e “smart working” non sono affatto uguali.

Difatti, per poter parlare di “smart working” a pieno titolo, non basta che i dipendenti si connettano da casa (o da qualsiasi altra postazione esterna all’azienda) o che assolvano alle proprie funzioni attraverso l’uso del computer.

Il “lavoro intelligente” – questa è la traduzione letterale di “smart working” – prevede, invece, che tutte le attività siano organizzate, eseguite, monitorate e valutate con l’ausilio di strumenti innovativi: software gestionali, applicazioni per PC e dispositivi mobili, piattaforme e bacheche virtuali, supporto in chat, riunioni online, ecc..

Insomma, lo “smart working” non è – solamente – un lavoro a distanza, ma un nuovo modo di concepire la vita in azienda, sfruttando al meglio le potenzialità del digitale.

Cos’è il “freelancing”?

Ora che abbiamo compreso le caratteristiche dello “smart working”, proviamo ad eliminare un altro dubbio assai comune: cosa si intende per “freelancing”?

Anche chi lavora come freelancer, spesso, si trova ad utilizzare il computer per svolgere le proprie attività e/o per tenersi in contatto con l’azienda: due aspetti che, come visto in precedenza, sono centrali sia nel “remote” che nello “smart working”.

Tuttavia, mentre il freelancer è, per definizione, un lavoratore autonomo, chi adotta la modalità “smart” o “remote”, in quanto parte dell’organico dell’azienda (o ente, associazione, ecc.), è classificabile, invece, come lavoratore dipendente.

Per lavorare freelance in pianta stabile, infatti, è necessario attenersi a degli obblighi ben precisi: in primo luogo, aprire la Partita IVA, facendosi assistere da un consulente online come Fiscozen (o da uno studio di fiducia) nella definizione dell’inquadramento, nella scelta del Codice ATECO e del regime fiscale, ecc.. Ogni anno, inoltre, va presentata la dichiarazione dei redditi e versata la quota per le tasse e i contributi previdenziali.